EVERYTHING I DO
Caputo ha avviato una nuova fase della sua vita e della sua carriera, infatti dal 1998 si è trasferito in California.
Qui ha cominciato a dedicarsi ad un genere chiamato "Smooth jazz" , un sottogenere del jazz con caratteristiche stilistiche affini alla fusion, al pop e al R&B. E' un genere ripulito dalle complessità armoniche e improvvisate del jazz, con maggior enfasi sulle melodie, sonorità più rilassanti rispetto alla fusion e al R&B e quindi molto più orecchiabile e di facile commercio.
Il 2003 è l'anno in cui Sergio si sente pronto per pubblicare il suo primo album "smooth jazz", lo chiama "That kind of thing", che tradotto sta per "quel genere di cose".
L'album è pubblicato dall'etichetta indipendente "Idiosyncrasy music".
Questo nuovo progetto porterà a Caputo molte soddisfazioni, infatti l'album è stato annoverato tra i 50 album del suo genere più ascoltati in radio nelle classifiche americane R&R, vincendo anche l'award di "Smooth jazz.com" come l'album indipendente più downloadato del 2005.
L'angolo delle interviste:
Un breve estratto di un'intervista fatta a Caputo nel 2013, in cui ci parla dell'album "That kind of thing" e della sua esperienza in America:
Meno conosciuta, invece, è la seconda parte della tua carriera, segnata da collaborazioni con grandissimi musicisti jazz, come Dizzie Gillespie, Lester Bowie, Tony Scott, e anche da un periodo in cui hai vissuto negli Stati Uniti, in California. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?
"Negli anni in cui sono stato negli Usa non ho fatto l’italiano, nel senso che pur cantando le mie canzoni anche in italiano, mi rivolgevo esclusivamente al pubblico americano. Non seguivo, insomma, questa tendenza di andare a fare “o’ cantante italiano” e raggrupparsi con la nostra comunità che si stringe sempre molto attorno a sé stessa. Ho affrontato anche lì il mare aperto e ho coronato un mio sogno di sempre, quello di fare un disco strumentale, l’ho chiamato “That Kind Of Thing” ed è sul genere smooth jazz. Un sogno che in Italia sarebbe stato irrealizzabile, perché tutti mi hanno sempre chiesto solo canzoni con i testi. Una grande esperienza, quindi, anche perché mi sono confrontato con musicisti americani, nati con quella cultura musicale. Mi è capitato di lavorare con tanti bravi jazzisti anche in Italia, ma è chiaro che il jazz è una forma d’arte che è nata negli Stati Uniti."
"Negli anni in cui sono stato negli Usa non ho fatto l’italiano, nel senso che pur cantando le mie canzoni anche in italiano, mi rivolgevo esclusivamente al pubblico americano. Non seguivo, insomma, questa tendenza di andare a fare “o’ cantante italiano” e raggrupparsi con la nostra comunità che si stringe sempre molto attorno a sé stessa. Ho affrontato anche lì il mare aperto e ho coronato un mio sogno di sempre, quello di fare un disco strumentale, l’ho chiamato “That Kind Of Thing” ed è sul genere smooth jazz. Un sogno che in Italia sarebbe stato irrealizzabile, perché tutti mi hanno sempre chiesto solo canzoni con i testi. Una grande esperienza, quindi, anche perché mi sono confrontato con musicisti americani, nati con quella cultura musicale. Mi è capitato di lavorare con tanti bravi jazzisti anche in Italia, ma è chiaro che il jazz è una forma d’arte che è nata negli Stati Uniti."
L'angolo dei live:
Pur essendosi trasferito in California, Caputo un paio di volte all'anno tornava in Italia e faceva dei piccoli tour invernali ed estivi.
In occasione di uno di questi tour ha avuto la possibilità di presentare live anche al pubblico italiano qualche canzone dell'album "That kind of thing".
"Everything I do" è stata una delle prescelte da Sergio e ce la gustiamo ora in questa registrazione audio "bootleg" live fatta durante un concerto tenuto nel 2006 al "The Place" di Roma:
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